Antonio Dovico – Strana attività quella del pensiero umano. All’improvviso si insinua nei meandri del cervello e ne avvia i complicati, misteriosi meccanismi alla ricerca di un riscontro, di una conferma alle nostre supposizioni. E’ il caso dell’aggettivo che dà il titolo a questo “esercizio”.
La radice di ‘fallace’ mi è sembrata derivare dal sostantivo “fallo”, a motivo del fatto che la consistenza dimensionale di questo organo umano, in quei pochi minuti in cui adempie alla sua funzione, è proprio effimera, di breve durata, fallace insomma. La rapidità con cui si ristabilisce la situazione antecedente, ha ispirato la formulazione di una parola dialettale siciliana, tuttora usata da qualche persona anziana: ‘’rrancata’. L’espressione è volgare, ma meno di quanto potrebbe sembrare, vista la mitigazione conseguente al “progresso” della società, che si è liberata da antichi, restrittivi complessi. Una superficiale ricerca sul mio vocabolario etimologico, non conferma la supposizione, tuttavia mi basta la definizione che mi dà della parola ‘fallace’ : “ Dicesi di cosa che non risponde a ciò che sembra promettere, che non sempre riesce secondo l’aspettazione”.
Non parliamo dell’aspettazione di cose belle, per le quali la delusione è sempre in agguato.
Parliamo di cose orribili desiderate, purtroppo, ardentemente, tanto da vivere sotto l’ossessione di volerle vedere realizzate. Colui che si mette in animo di vendicare un torto reale o presunto, subito dopo aver concepito il pensiero, incomincia a nutrirlo ogni giorno di più, fintantoché non trasmigra nel cuore, dove metterà radici intriganti che finiranno per acquisire la massima stabilità.
Divenuto robusto il pensiero, s’incomincia a pregustare la gioia che deriverebbe dalla sua realizzazione. A questo punto non si torna più indietro. Inizia la progettazione. Disegno globale; particolari; dettagli. Il progetto è pronto. Sembra perfetto. Si può passare all’esecuzione. Attento; e ricordarsi di curare i minimi particolari. Tutto va bene: tutto andrà bene. Che gioia sarà vederlo realizzato! Pronti a muovere, forza e coraggio.
L’agguato è perfetto. Il padre, la madre, i fratelli; qualche volta anche il figlio, ci sono caduti. Finalmente ci siamo liberati. Ora facciamo scomparire le prove e prepariamoci un alibi perfetto. Ohoo!, come ci sentiamo felici! Chi potrà scoprire la verità?
Forse nessuno riuscirà a scoprirla. Ma, chi potrà sopprimerla? Essa è impressa a fuoco nella nostra coscienza, incancellabile. A poco a poco, la verità assume altri connotati, si trasforma in rimorso e questo incomincia a fugare la nebbia che avvolgeva il cervello. La luce si fa sempre più viva e il nostro misfatto assume i suoi orribili contorni. Ora incominciamo a ragionare. Perché l’ho fatto? Perché ho odiato fino a questo punto? Che sentimento avranno provato verso di me le mie vittime vedendo la mia furia omicida? Perché le loro implorazioni invece di commuovermi, mi arrecavano un sadico piacere? Perché non ho capito che il male, più che a loro, l’ho fatto a me stesso? Che ne sarà ora, della mia vita?
Veramente la cosa desiderata alla fine non corrisponde all’aspettazione. Tutto è fallace: la speranza del bene che non arriva, come la pregustazione del male che riusciamo a realizzare.
Quest’ultima, certamente, non sarà solo fallace, ma risulterà anche tremendamente amara.
Antonio Dovico
3 novembre 2002