Juve, prendi Simone Inzaghi. Lo andiamo ripetendo da oltre due anni e ieri sera, dopo l’imbarazzante sconfitta della Juventus contro l’Inter a San Siro, lo abbiamo ribadito con ancora più forza. Più che rabbia fa tenerezza Andrea Pirlo, con mani in tasca, bavero della giacchetta alzato, barba e capelli lunghi e viso stravolto dagli eventi. Sempre la stessa faccia, sempre la stessa espressione smarrita di chi cerca come rattoppare la persistente mancanza di gioco, di idee, pur con una squadra di assoluta qualità tecnica, che ha però bisogno di essere registrata in tutti i suoi reparti a partire da un centrocampo spesso evanescente e incapace di tutelare una difesa smarrita, capace di farsi infilare da un passaggio di 60 metri del portiere avversario a un compagno di squadra che immancabilmente fa gol. E non è la prima volta. L’Inter di Conte ha dominato, ha meritato, ha giocato a calcio, ma è stata facilitata da un avversario che non è neanche sceso in campo. Da CR7 a tutta la squadra bianconera si è evidenziato il malessere del non sapere costruire nulla e non inquadrare mai la porta avversaria. Il solo Chiellini è stato capace di affrontare Lukaku in un duello rusticano tutto fisico, onestamente sportivo, ma duro. Troppo poco per una squadra che dovrebbe mettere dignità e superiorità riflessa dai nove scudetti consecutivi conquistati e, così come visto a San Siro, sembrano finire come il ciclo di una squadra che ha chiuso per ricominciare da chi? Con chi? Detto questo è giusto dare merito all’Inter che ha preparato la partita con molta attenzione tattica, utilizzando le sue mezzali in maniera accorta in fase di costruzione del gioco nelle ripartenze e poi andando a pressare costantemente nella trequarti avversaria. Una preparazione fisica e mentale che ha consentito alla squadra di Conte di vincere, meritare la supremazia del campo annichilendo un avversario apparso fragile, debole sulle gambe e psicologicamente amorfo. Spiace dirlo, ma le facce e l’incredulità apparsa negli sguardi dei giocatori bianconeri è la stessa espressione tradotta sul viso del suo allenatore Andrea Pirlo. Non basta dire: ”Non siamo scesi in campo” oppure “Non è così che avevamo preparato la partita durante la settimana” perché è l’allenatore che ha tutto in pugno; scelte tecniche, tattiche, preparazione fisica e armonia di spogliatoio che alla Juve sembra smarrita. Un segnale pericoloso di dispersione di una squadra forte del suo CR7, che sembra perdersi quando il portoghese smarrisce il suo carisma di trascinatore di squadra. Ma la Juve non può sentirsi dipendente da nessuno, neanche del più grande calciatore al mondo, perché questa squadra e questa società è da sempre modello di organizzazione e capacità di fiutare il non ridursi all’ultimo momento nell’avvertire la fine di un ciclo. Non c’è dubbio, il pallino di Andrea Agnelli ha fallito. Non poteva essere diversamente, perché Pirlo, come annunciato pubblicamente all’inizio in conferenza stampa, avrebbe dovuto cominciare la sua carriera di allenatore nell’Under 23, non in Prima Squadra. Inaccettabile mandare allo sbaraglio un allenatore principiante. Per noi è stato come non avere rispetto, altro che dargli la possibilità di correre quando già a produrre i primi passi si fa fatica in ruoli diversi tra quella che è la carriera di calciatore e di allenatore. Nessuno ha la bacchetta magica, nemmeno Pirlo che pur è stato un grande calciatore e serio professionista. Ma il patentino di allenatore appena conseguito, avrebbe avuto bisogno di più tempo, pazienza, aiuto. Questo non è stato e adesso i nodi stanno venendo al pettine. Adesso ci sarà la Supercoppa d’Italia contro il Napoli. Non sappiamo se ci sarà una reazione da parte della squadra bianconera. Tuttavia, anche se fosse, così com’è stato dopo la deludente partita contro la Fiorentina, serve continuità per dimostrare che sei una grande squadra. Ma la Juve di quest’anno non può ritenersi tale per i motivi che abbiamo già ampiamente esposto. E intanto la Champions e la Coppa Italia sono avviate. Il Campionato è solo un affare da risolvere tra squadre milanesi.
Salvino Cavallaro