— Foto: Pietro Barcellona.
Antonio Dovico – Da un quotidiano apprendo la morte, avvenuta il 6 settembre 2013, del professore Pietro Barcellona, persona a me del tutto sconosciuta. Incuriosito, faccio ricerche per saperne di più. Trovo subito che era un professore di Filosofia del diritto nell’Università di Catania, dov’era nato nel 1936. Di “fede” marxista, è stato deputato del PC dal 1979 al 1983. Ma, nel tempo il suo pensiero si era evoluto, tanto che nel 2012 aveva firmato un articolo sull’Unità dal titolo: “Come sono diventato cristiano”. Interessante! Ma, facciamo un passo indietro: prima vediamo com’era diventato comunista.
Continuando a cercare, apprendo che a Pietro Barcellona era stato suggerito da un agitatore comunista la lettura di un libro di Concetto Marchesi, nel quale si descriveva la condizione profondamente disagiata dei braccianti di Lentini. In questa lettura avvincente e convincente, Barcellona trovò una ragione per abbracciare le tesi marxiste.
Suppongo che pochissimi lettori sapranno chi era Concetto Marchesi. Nato anch’egli a Catania, nel 1878, fu tra i più insigni latinisti, e insegnò nell’Università di Padova, durante il regime fascista.
Comunista passionale, nemico dichiarato e tessitore di trame contro il regime fascista, grazie al suo grande valore accademico Mussolini gli permise di insegnare, nonostante avesse rifiutato la tessera fascista. Evidentemente il Duce era un po’ meno gretto di quanto lo si dipinge, e prima ancora che gli interessi privati o di partito, premiava i meriti degli italiani che davano lustro alla Patria.
Trascurando, per ragioni di brevità, di ampliare questi striminziti spunti, lascio ai lettori, ove ne fossero interessati, l’iniziativa per un approfondimento storico più ricco.
Ho già detto della robusta caratura accademica di Concetto Marchesi. È fatale che da essa discenda un forte carisma capace di attirare ammiratori, seguaci o, nel caso si entri in politica, elettori, i quali, abbagliati dal nome del personaggio, lo votino mettendo imprudentemente in pausa la vigilanza necessaria per evitare errori, più o meno gravi. Naturalmente questo fenomeno sociale non si limita agli intellettuali, ma si dirama in tutti i campi nei quali sono presenti “campioni carismatici”, tipo il noto sultano di Arcore.
Normalmente – ma vi sono innegabili numerose eccezioni – i grandi intellettuali sono tali nella loro materia, ma diventano persone sprovvedute e disorientate anche nelle semplici cose della vita. Per dare un’idea concreta di quanto affermo, penso a un mio zio, giustappunto alunno di Marchesi, a Padova, poi divenuto suo collega di riguardo. Forò una ruota della sua Millecento su una strada poco transitata del Veneto e, incapace di sostituirla, se non fosse stato per un’anima buona in transito che lo ha aiutato nell’operazione, poteva restare al fresco della campagna per tutta la notte.
Col passo indietro al quale ho accennato poc’anzi, abbiamo visto come il professor Barcellona era diventato comunista. La condizione disagiata dei braccianti di Lentini, lo aveva tanto commosso, da pensare che aderendo al “sentimento” politico di Marchesi, avrebbe potuto dare forza ad uno strumento partitico capace di alleviare la drammatica condizione dei braccianti. Ma ancor meglio e più di Pietro Barcellona, conoscevo personalmente i disagi dei braccianti, perché ne ero stato a stretto contatto quotidiano nell’immediato dopo guerra. Intanto tra il professore e me, passano solo pochi mesi di differenza, essendo io nato nel 1937. Coetanei, quindi entrambi testimoni oculari e diretti della medesima epoca. Marcata differenza, invece, riguardo alle nostre professioni: lui professore, io fabbro. Esperienze di vita diverse, su strade diverse.
Se Pietro Barcellona è rimasto scosso apprendendo da un libro la misera condizione dei braccianti, convertendosi al marxismo-comunismo, io invece, a causa del mio mestiere, legato a doppio filo coi braccianti perché in quei tempi tristi, mio padre e io lavoravamo per loro, costruendo e riparando gli attrezzi agricoli indispensabili. Chiaro: partecipavamo necessariamente alla loro miseria, tuttavia non diventai comunista. Perché? Perché sebbene abbastanza giovane, il mio intelletto non lasciava spazio alle utopie marxiste inzuppate di materialismo. Non mi piaceva neppure la puzza d’ipocrisia spacciata per filantropia. Ero cristiano cattolico da bambino, e tale sono rimasto da vecchio. Non ho avuto bisogno di convertirmi. Beh, mi domandate come la mettiamo con l’ipocrisia di marca cattolica? D’accordo, c’è e tanta ma il discorso sarebbe lungo, e richiederebbe più pagine. È prioritario riprendere e definire l’interessante discorso della conversione del filosofo Barcellona.
“Come sono diventato cristiano”
Scrive sull’articolo citato il filosofo Barcellona. “Io non mi sono convertito l’altro ieri per effetto di una improvvisa illuminazione ma ho vissuto in tutta la mia vita un percorso tormentato di ricerca oltre ciò che di volta in volta è sembrata l’ultima spiegazione del nostro stare al mondo”.
Stavolta il filosofo che grazie (ironia della parola) alla ieratica autorevolezza dell’illustre latinista Marchesi, aveva abbracciato il verbo Marxista al posto del VERBO per antonomasia, è approdato all’ultimissima spiegazione che dà senso alle domande, e compimento a tutte le opere lasciate incompiute da uomini testardi, che superbamente rifiutano di cercare e guardare oltre la punta del loro naso.
Tanto mi basta per dire che i filosofi, possono ritenersi intellettuali veri, solo se non si fermano al visibile, ma vanno “oltre” per l’ultimissima “spiegazione” che il filosofo Pietro Barcellona ha cercato e trovato. Spiegazione che appaga e salva. Da parte mia, cristiana gratitudine a Pietro Barcellona per averci fatto partecipi della sua splendida testimonianza.
Antonio Dovico
23 settembre 2013