Sì, è proprio così. Franco Battiato era un essere speciale perché elevava la sua anima alla ricerca della spiritualità. Un altrove sempre presente in lui, in tutto ciò che faceva, che rappresentava la sua vera arte nel tradurre in musica i momenti in cui componeva testi di straordinario senso filosofico. Un artista poliedrico, capace di intendere il suono come qualcosa di sacro, mentre comporre rappresentava per lui un momento sublime, forse il più insostituibile dei gesti umani. Ho aspettato un po’ prima di scrivere questo articolo per Franco Battiato, perché ho voluto cercare di non accodarmi ed essere ripetitivo sulle tante, doverose celebrazioni di un uomo, artista unico e raro, che per la sua grandezza ti porta inevitabilmente a cadere nel facile tranello della retorica. E allora ho pensato di evitare orpelli e abbellimenti eccessivi verso un artista immenso che non ha assoluto bisogno di nulla, perché il suo elevarsi attraverso i suoi concetti profondi di vita parlano da soli e non hanno bisogno d’altro, se non dei lunghi momenti di riflessione che ci sono stati regalati quando ascoltiamo le sue pregiate composizioni. Tuttavia, parlando di Franco Battiato, genio che aveva scelto la musica per raggiungere un obiettivo che andava molto aldilà della musica stessa, ti conduce a considerazioni di vita capaci di seguirne i tratti esemplari di una spiritualità portata in tutto ciò che è terreno. Aveva 76 anni e soffriva da tempo di un male incurabile. Negli ultimi anni non era più apparso in pubblico dopo essere caduto sul palco di Bari e altre volte in casa, producendosi la rottura del femore. Segno evidente di una malattia che ha lentamente asciugato le sue forze fisiche ma non quelle mentali, le quali apparivano sempre lucide e pronte a tante nuove creatività artistiche. Forse le mura della sua casa di Milo alle pendici dell’Etna gli davano sicurezza, tranquillità. Un modo come un altro per vivere il silenzio e la quiete di quell’angolo di mondo della sua Sicilia, che egli aveva scelto per riflettere e comporre testi che erano la prosecuzione di una carriera di alto livello artistico. Sensibilità e particolare predisposizione al suono, due modi geniali per unire musica e parole attraverso generi musicali diversi , che evidenziavano lo sforzo naturale di non essere mai banale o, ancor di più, mai offrire un prodotto per soddisfare i soli obiettivi commerciali. No, questo non era mai stato il suo traguardo da raggiungere, non poteva esserlo. Troppo grande la sua anima, troppo profonda la sua filosofia di vita che sfociava sempre nell’arte pura. Sì, perché il Maestro Franco Battiato apparteneva alla cultura del nostro Paese che l’ha reso celebre nel mondo, potenziando ancor di più la lunga schiera di intellettuali che inorgoglisce l’Italia. Cantautore, compositore, regista, pittore; tutte forme artistiche che si sprigionavano dalla sua anima come qualcosa di naturale, mai artefatto, ma con l’istinto prezioso donato da madre natura. Per chi come me ha vissuto le sue canzoni – meglio definirle vere e proprie opere d’arte – non può fare altro che addolorarsi di una perdita di così grande spessore artistico e umano. Così si esprime in una nota la scrittrice messinese, Nadia Terranova: “Franco Battiato non era solo un cantante. Era il dio greco del vulcano, il volto arabo della muntagna, il derviscio che danza due metri sopra le colate laviche. Sta all’Etna come Colapesce allo Stretto, e lì resterà per sempre”. Sì, lì resterà per sempre, dopo avere finalmente trovato quel centro di gravità permanente che ha rincorso tutta la vita. L’ultimo saluto avverrà in forma privata per volere della sua famiglia in quell’angolo di Sicilia in cui Franco Battiato amava rifugiarsi e quasi proteggersi dalle angherie di un mondo che sembrava non gli appartenesse. Lì, proprio lì, tra l’Etna e il mare, al riparo del frastuono che la sua popolarità avrebbe potuto provocare.
Salvino Cavallaro