“Ho dimestichezza con l’odore del sangue, dolcemarcio, come di fiori d’arancio annegati nella palude” – Così entra in scena con abiti stuprati la Donna, sposa, madre e sempre una regina, Clitemnestra in mezzo al pubblico a raccontarsi, a narrare le sue origini, il suo vissuto, cercando gli occhi e l’animo di chi possa interrogare la propria coscienza, soffrire, amare questa donna, la donna…
Clitmnestra porta i segni di una violenza atavica, di un dolore insanabile, con una forza titanica che la rende regina di questo mondo… Questa la Clitemnestra di Luciano Violante, questa la Clitemnestra di Viola Graziosi: una donna che dalla nascita porta con sé il bagaglio delle colpe altrui, che ama e procrea e vede trucidare, bruciare la figlia Ifigenia con l’inganno, solo per la tracotanza dell’uomo, del suo sposo Agamennone, cuore di cane, re in mare alla conquista di comando e di gloria…
Ahimè quanto è diverso l’uomo e il suo tempo da quello della donna: immediata l’urgenza delle azioni nell’uomo – continua, costante, eterna l’attesa del “pensiero”, quella di Clitemnestra, della donna. E così Viola Graziosi racconta Clitemnestra e la sua lunga attesa: attesa di giustizia “10 anni diventano un respiro”, attesa sempre… dell’amore… dei figli, della loro crescita, del loro futuro, di amore e comprensione del proprio essere donna… L’attesa che palpita di vita, di pathos, dell’unicità della donna, assassina di Agamennone, sino a smuovere la commozione del pubblico, ormai conquistato, che l’ha riscattata da quell’omicidio. Non fu per vendetta, ma per Giustizia: “Non c’è Giustizia senza Pietà”. Grande e difficile quesito quello che il Testo di Luciano Violante ci pone, un quesito che si dibatte tra la Giustizia della Legge e quella della Pietas.
La Donna, la sposa, la madre, sempre Regina, evoca, medita, si chiede se il Destino ineluttabile la governi o possa lei tenerne le redini, lei che conosce tutte le facce dell’amore e non si lascia certo incatenare, ma solo librare.
Lo chiede l’eterna Clitennestra non agli uomini “siccati di viltà”, ma a “coloro che cercano le ragioni delle cose prima delle cose stesse…” Il testo di Luciano Violante è una rivisitazione della tragedia classica, ed è tutto quello che il Mito contiene e trasmette, un prezioso messaggio di riflessione e di emozioni proprie dell’essere “donna”. Viola Graziosi “atleta del cuore”, come lei ama definirsi, ne è interprete sublime. Nella sua armonica e potente plasticità del corpo e dell’anima, parla, comunica la verità che persuade, trapassa il tempo e lo rende presenza.
Potente, straordinaria, non c’è attimo che non coinvolga e travolga, non c’è racconto che non sia rappresentato nei dettagli incisivi, sì precisi da vederne scena e colori: gli spettatori vedono nel racconto di Clitemnestra la hýbris di Agamennone che trafigge la cerva bianca sfidando Artemide, e vedono Ifigenia candida eterea che si avvia sul tappeto di glicine per coronare il suo sogno di sposa, e vedono sì il dolore muto di una madre attonita, lacerarsi e raggelarsi dinnanzi al truce sacrificio…
Ogni fatto rivive sulla scena nel gesto, sul viso e nelle parole di Clitennestra, che porta e tiene con sé la bambola della sua Ifigenia, simbolo di quell’infanzia stroncata, che vive nella madre come segno di purezza, di innocenza, da custodire nella memoria.
La donna di sempre nel dolore trova il coraggio di ribellarsi ai canoni del giudizio e delle differenze, e la forza di continuare ad amare.
Il Regista Giuseppe Dipasquale, siciliano DOC, oggi Direttore del MUST – Musco Teatro di Catania, ha coniugato la scelta del Sito con la rimozione di barriere tra Pubblico e Scena, ottenendo il massimo coinvolgimento dalla funzione dell’antico Teatro greco di Tindari.
Il pubblico ha applaudito in piedi per un tempo lunghissimo anche a ringraziare Maria Campana e il Consorzio comunale dei Nebrodi e tutti coloro che hanno offerto la Clitemnestra.
Rita Chillemi.